mercoledì 1 dicembre 2010

OCTAVIO PAZ, "Il quadro è un corpo"

Con uno straccio e un coltello
contro l'idea fissa
contro il toro della paura
contro la tela contro il vuoto
lo zampillo
fiamma azzurra del cobalto
ambra bruciata
verdi appena usciti dal mare
indaci riflessivi

Con uno straccio e un coltello
senza pennelli
con l'insonnia la rabbia il sole
contro il volto bianco del mondo
lo zampillo
ondulazione serpentina
acquatica vibrazione dello spazio
il triangolo l'arcano
la freccia conficcata nell'altare nero
gli alfabeti collerici
la goccia d'inchiostro di sangue di miele

Con uno straccio e un coltello
lo zampillo
il rosso messicano scatta
e diventa nero
il rosso d'India scatta
e diventa nero
le labbra anneriscono
nero di Kalì
il giallo e le sue belve arse
l'ocra e i suoi tamburi sotteranei
il corpo verde della selva nera
il corpo azzurro di Kalì
il sesso della Guadalupe

Con uno straccio e un coltello
contro il triangolo
scoppia l'occhio
zampillo di segni
avanza l'ondulazione serpentina
marea di imminenti apparizioni

Il quadro è un corpo
avvolto dal suo enigma nudo.


(***) Il dipinto, "Eloquenza dei corpi", è di Carlo Adelio Galimberti

domenica 10 ottobre 2010

John Donne: Il sogno


***


Per nessun altro, amore, avrei spezzato
questo beato sogno.

Buon tema per la ragione,
troppo forte per la fantasia.

Sei stata saggia a svegliarmi. E tuttavia
tu non spezzi il mio sogno, lo prolunghi.
Tu così vera che pensarti basta
per fare veri i sogni e storia le favole.
Entra tra queste braccia. Se ti sembrò
più giusto per me non sognare tutto il sogno,
ora viviamo il resto.

Come un lampo o un bagliore di candela
i tuoi occhi, non già il rumore, mi destarono.
Così (poiché tu ami il vero)
io ti credetti sulle prime un angelo.
Ma quando vidi che mi vedevi in cuore,
che conoscevi i miei pensieri meglio di un angelo,
quando interpretasti il sogno, sapendo
che la troppa gioia mi avrebbe destato
e venisti, devo confessare
che sarebbe stato sacrilegio crederti altro da te.

Il venire, il restare ti rivelò: tu sola.
Ma ora che ti allontani
dubito che tu non sia più tu.
Debole quel amore di cui più forte è la paura,
e non è tutto spirito limpido e valoroso
se è misto di timore, di pudore, di onore.
Forse, come le torce
sono prima accese e poi spente, così tu fai con me.
Venisti per accendermi, vai per venire. E io
sognerò nuovamente
quella speranza, ma per non morire.

(traduzione di Cristina Campo)


*** Il dipinto, "Glorificazione", è di Salvatore Fiume

lunedì 23 agosto 2010

Irina Ratusinskaja

Abbiamo imparato, eh sì, a gettare il tempo nei barattoli
e abbiamo rimestato nella notte condensta di continuo.
Questo secolo si fa ancora più nero, il prossimo
non verrà presto
a spazzare via i nomi dai muri delle prigioni di ieri.

L'abbiamo allestito con tale cura, eppure noi
non siamo nella ciurma, nemmeno ci ammettono a bordo.

Ma coprendo il carico ben misurato con stuoiame grezzo
riusciamo tuttavia a spargere il seme.
Abbiamo le mani lacere ma ancora sappiamo togliere i
chiodi
anticarro dai raccolti, destinati a durare oltre di noi.

(trad. di D. Albeni)

martedì 2 marzo 2010

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Lorenzo Calogero, "Come in Dittici"



Quando da l'albatro strano ad una lucida

scintilla dei crepuscoli eri un'idea

non più vicina, non più t'ascolto.

Una fuga di uccelli eri chiara nel folto,

dí alberi una china, un esiguo

fiorito stormo di occhi nel volto.

Fievole una gioia lentamente inclina

al fiore del limone e pigramente

a una favola.

So. Non altro eri tu chiamata

che una corolla negli orti del tempo

nel tempo del tuo riposo. La fuggevole

aria abbraccia sul labbro tuo mutevole

lo spazio che non ebbe mai un colore

o lo distingue da esso o è lontano

da te o è curioso.

Guardi

la serena essenza senza fine

o è rotta la voce cupa del tuo tempo,

a sommo rivolta, esatta,

ratta veloce nel senso del tuo sonno.

Tacita una salsedine si risveglia

o esala una marea. Declina

una notte mite fredda

lucida e la tramontana poi.

Se le monotone cose vuoi

la morte come una sera negli occhi

ti è sorella carnosa e vicina.

Altri tempi

non puoi implorare.

Come i dittici

antichi autentici disgiunge

la tua gioia il calore

dell'ultima brina.



(Il dipinto è del pittore abruzzese L. Antognetti)

mercoledì 9 dicembre 2009

JOSE' HIERRO: Vorrei non odiare questa sera, da Alégria, 1947)


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Vorrei non odiare questa sera,
non portare sulla mia fronte la nube oscura.

Questa sera vorrei avere occhi più chiari
per posarli sereni nella lontananza.
Dev'essere bellissimo poter dire:
"Credo nelle cose che esistono e in altre
che probabilmente non esistono,
in tutte le cose che possono salvarmi,
anche ignorando il loro nome;
conosco la frutta dorata che dona l'allegria."

Vorrei non odiare questa sera,

sentirmi leggero, essere fiume che canta,
essere vento che muove la spiga.
Guardo a ponente. S'abbuiano i lunghi percorsi
che vanno nella notte,
che donano la loro stanchezza alla notte, che entrano
nella notte a sognare nella sua grande menzogna.

(traduzione Alessio Brandolini)

*** il dipinto "Goya e la duchessa d'Alba" è di Salvatore Fiume

venerdì 13 novembre 2009

Ghiorgos Seferis "Scirocco" da "Leggenda"



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"Le Sirocco naît dans le désert du Sahara, traverse tout le bassin méditerranéen, et continu son chemin vers la France. Parfois dans un dernier soubresaut, il prolonge l’impétuosité de ses fiévreux élans jusqu’en Angleterre. L’une des premières« grandes terres » qu’il rencontre dans son voyage est la Sicile." (Cedrìc Putaggio)





Finestre grandi. Tavoli grandi
da tanti mesi e che gettiamo
Stella dell'alba, quando abbassavi gli occhi
sopra la piaga, più liete dell'acqua fresca
Tenevi la nostra vita nella tua palma.

se di notte ci fermiamo davanti a un muro bianco
e nuovamente questo vento affila
Ciascuno di noi scrive le stesse cose
guardando per suo conto lo stesso mondo
Chi toglierà questa tristezza dal nostro cuore?
pesa di nuovo il cielo coperto. I nostri pensieri
ammucchiati al portone di casa nostra e inutili
Tra questi borghi decimati
coi monti davanti a noi che ti nascondono


°°° il dipinto "Scirocco" è di Beppe Aveni